Si stanno svolgendo in questo momento i qualifier per l’ultimo evento competitivo di Bethesda. L’azienda statunitense, famosa negli ultimi tempi per i proprio giochi di ruolo fantasy, è l’editore dell’ultimo sparatutto in prima persona di id Software: Quake Champions. L’opera è in sviluppo da tempo. Annunciata all’E3 dello scorso anno, è entrata nella fase di Closed Beta da pochi mesi. Non c’è dunque da stupirsi se l’annuncio del Quake World Championship del 23 giugno abbia destato diverse perplessità.
Un cattivo marketing o una cattiva idea?
L’idea di creare un torneo ufficiale, con un montepremi in palio ben 1 milione di dollari, per un gioco nemmeno rilasciato, ha destato parecchio scalpore soprattutto fra i fan. Scorrendo sotto il video su YouTube non mancano di certo una buona dose di commenti negativi. Una parte del pubblico si ferma a commentare la banalità del video. Altri aprono dibattiti riguardo la sempre attuale dicotomia fra sport ed esport. C’è anche chi discute dei recenti passi falsi Bethesda in fase di marketing (come la questione delle mod a pagamento o la pessima figura fatta all’ultimo E3). Unica cosa certa, nel trambusto della sezione commenti, sembra essere il fatto che il video di per sé non sia piaciuto. Con una quantità di “non mi piace” di gran lunga superiore a quella del pollicione in sù il pubblico sembra esprimersi in maniera netta.
Tutto ciò accade nonostante Quake Champions sia stato ben accolto da parte della critica. Sebbene il gioco abbia fatto storcere il naso ad alcuni puritani della serie, per via del fatto che questo integri elementi “da MOBA” al primo sparatutto competitivo al mondo, non sono mancati le figure illustri che hanno espresso opinioni positive. Fra questi spicca il famoso recensore inglese TotalBiscuit, che del titolo apprezza le meccaniche e la modernità.
Correre prima di saper camminare
Il fatto che sia ancora presto per stabilire se l’ultimo nato in casa id sia in grado di reggersi sulle proprie gambe mette alla luce il grosso sbaglio che Bethesda sta commettendo: spingere sulla scena esportiva un’opera non completa.
L’idea stessa di creare un torneo per qualcosa non ancora disponibile al grande pubblico non è nuova. Già da tanto i videogiochi sono colpevoli di pratiche simili. Ciò non significa però che tutto questo sia accettato. Come abbiamo già discusso più volte, creare un buon esport è un’operazione complessa e laboriosa ed è il momento che le case produttrici smettano di tentare spingere le proprie creature fuori dalla porta allo scopo di avere qualcosa con il proprio nome nel sempre più conteso mondo dell’esport.