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Good Luck, Have Fun – The day after Jacksonville | Editoriale

Ieri notte, così come tanti di voi, ho assistito con orrore a una scena che non avrei mai voluto vedere. La clip di un torneo di esport – uno di quelli dei quali si parla quotidianamente su questo sito – in un locale di Jacksonville chiamato GLHF (Good Luck, Have Fun) in cui dei partecipanti, Eli Clayton e Taylor Robertson, sono morti sotto i colpi di pistola sparati da un giocatore come loro. Come noi.

Ho guardato lo schermo incantarsi su quel “controller disconnected”, mentre i microfoni ancora registravano gli spari e le urla dei presenti.
Prima di trovare notizie sicure, dall’account ufficiale della polizia locale, su Twitter ero già stata bombardata da una quantità incredibile di informazioni contrastanti. Quattro vittime, nessuna vittima; assassino vivo, assassino morto; tanti feriti, pochi feriti.

Ho trovato poi un’intera community sconvolta, incredula, alla ricerca di risposte quanto me. Chi è stato? Perché lo ha fatto? Come è riuscito a entrare con una pistola?
Ho osservato, contemporaneamente, muoversi anche la stampa sugli stessi canali.
Ho visto squadre domandare ai giornalisti di non mettersi in contatto con i propri giocatori, risposte sdegnate di alcuni professionisti a richieste di un commento o di una opinione su una vicenda così terribile, della quale si sapeva così poco.

Poco tempo dopo, ho visto i primi nomi girare in rete, nonostante l’identità delle due vittime non fosse stata rivelata dalla polizia di Jacksonville. Si può solo sperare che i loro cari non abbiano appreso la notizia in questo modo, rovistando tra i feed delle proprie bacheche in cerca, anche loro, di risposte.

Assieme ai nomi, ha incominciato a circolare insistente anche l’indignazione. Tantissima, trasversale.
Quella dei cittadini americani sconvolti per la duecentonovantesima tragedia del 2018, figlia di una scellerata sregolatezza sul possesso di armi da fuoco in un Paese che dovrebbe essere un esempio di sicurezza per tutti.
Quella di organizzatori e giocatori (come ZeRo e Wong), messi di fronte alla consapevolezza che nemmeno un evento di esport – da tutti noi considerato come un’oasi in cui nessuno potrebbe mai farti del male – è esente dall’orrore.
Quella di chi si è chiesto come fosse possibile “Sparare perché si perde a un videogioco“, movente non confermato dalle autorità ma che ha continuato a rimbalzare imperterrito di bocca in bocca fino ai quotidiani e ai TG di tutto il mondo, banalizzando o sottovalutando in modo barbaro possibili problemi di fondo – come quello della depressione e delle malattie mentali in America.

Infine, quella di tutta la community, terrorizzata preventivamente per una possibile, ennesima strumentalizzazione della tragedia da parte dei mass media. “Era un simulatore di Football americano! Che violenza vuoi che causi?“.
Pur essendomi rifiutata categoricamente di guardare qualsivoglia servizio televisivo su Jacksonville, proprio per questo motivo, posso capirli.
Ho passato una notte terribile, di lutto e di caos. L’unica cosa di cui non ho voglia, in questo momento, è di sentire qualcuno che conduca una crociata simile proprio mentre piangiamo la tragica scomparsa di due giocatori come noi, a causa del gesto deplorevole di un altro giocatore come noi.

Altre info su Erica Mura

Adora i videogiochi perché ama immergersi nelle atmosfere magiche di qualsiasi mondo fantasy - da Lordran a Runeterra, da Atreia alla Sardegna. Dal cibo, sua altra grande passione, ha portato all'interno delle sue esperienze videoludiche la predilezione per il sale.

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