Mentre pensavo a come scrivere della tappa milanese del Tekken World Tour 2017 mi son venute in mente diverse idee. Fra queste, quella che più mi ha allettato all’inizio è stata quella di fare un articolo diviso in due parti. Nella prima, per attrarre un poco al sito creando anche qualche discussione, avrei parlato dei lati negativi dell’evento, rivelando solo successivamente quanto in realtà mi fossi divertito e avessi apprezzato di poter partecipare, in un modo o nell’altro. Non è passato troppo tempo però prima che capissi che non sarei stato in pace con me stesso non fossi stato completamente onesto e aperto riguardo la mia prima grande esperienza ad una fiera di spessore.
Le persone dietro i personaggi
La seconda giornata della Milan Games Week sono arrivato ai padiglioni riservati all’esport sentendo ancora su di me la stanchezza accumulata il giorno prima. Mi sono diretto verso lo stand di Tekken con un poco di agitazione e insicurezza. Per la prima volta avrei visto dal vivo un evento di picchiaduro di alto livello e incontrato i giocatori. Con alcuni di loro avevo già avuto contatti su Facebook ma nulla più di qualche riga di testo. La zona riservata al titolo Bandai Namco da subito mi era sembrata un po’ piccola per l’evento che iniziava comunque ad attrarre una discreta folla di curiosi, incuranti del trambusto creato nella gigantesca PG Arena poco distante.
I dubbi e le insicurezze però sono durati ben poco. Una volta raggiunto lo stand ho quasi subito adocchiato i giocatori. Ho provato una sensazione di strana alienazione. Per la prima volta ho avuto la possibilità di andare oltre lo schermo del mio PC e incontrare le persone che si “nascondono” dietro i personaggi giocati. Il primo piccolo particolare di cui mi sono immediatamente accorto è stato la tranquillità che ognuno di loro emana prima della propria sfida.
Ho visto una parte di loro chiacchierare amabilmente, mentre altri si preparavano in incontri amichevoli. Per me è stato da subito un chiaro indicatore della tempra di cui i ragazzi dispongono. In un ambiente intrensicamente ostile come quello dei grandi tornei, dove chiunque è pronto a giudicare e analizzare nel dettaglio qualsiasi tuo errore e tutto sembra intenzionalmente volerti distrarre dal tuo obiettivo, loro parlavano come fossero seduti al bar davanti a una birretta.
Nessuno escluso
Tutto è stato molto diverso da come lo avevo immaginato. Pensavo che un gioco così competitivo, fatto completamente di duelli e sfide, avrebbe di per sé creato dispute fra i propri fan e giocatori. Pensavo si sarebbe formato, nel tempo, un ambiente – se non apertamente ostile – perlomeno freddo e inospitale.
Invece mi sono ritrovato di fronte una realtà completamente diversa. Un gruppo di persone pronte a supportarsi l’un l’altra in un clima di amichevole competizione. Pacati ma visibilmente entusiasti, ho visto possibili rivali scambiarsi suggerimenti e informazioni in tutta tranquillità, apparentemente incuranti della possibilità di aiutare i propri avversari. Ancora più impressionante è il fatto che degli stranieri presenti nessuno fosse emarginato o estraniato, dando così l’impressione di una community coesa, creata da una passione che trascende lingua e nazionalità.
In un angolino così piccolo rispetto alla gigantesca e coloratissima PG Arena ho avuto la fortuna di cogliere, quasi inaspettatamente, l’anima dell’esport. Qualcosa di magico che, nonostante l’assenza di mille spettatori in delirio, ha saputo regalare le stesse emozioni di un Overwatch Premier Circuit o di un Red Bull Factions.
L’esperienza del Tekken World Tour alla Milan Games Week – Parte 2