La cornice del Comicon Napoli 2024 è stato teatro di numerosi eventi, dedicati al mondo del gaming ed ad esso collegato.
Uno di essi ha avuto come tema portante l’universo competitivo è, in particolar modo, sullo stato di salute della scena italiana e non.
“L’Esports è morto, viva l’Esports” questo è il titolo del panel andato in scena lo scorso 27 Aprile con protagonisti: Xiuder, Alessandro “Fragola” Zappalà, Daniele “Prinsipe” Paolucci ed Elena Coriale.
Un discorso che è stato effettuato anche da parte di uno degli ospiti presenti all’interno della rassegna partenopea.
Dario Ferracci, meglio conosciuto col nome di Moonryde, pro player del genere Battle Royal, componente del team content creator dei Fnatic e atleta Red Bull.
Ferracci è stato presente in quel di Napoli per un evento realizzato dal sopracitato brand a lui dedicato dove ha incontrato fan e community dei vari titoli della categoria sopracitata.
Occasione, quella del Comicon Napoli, in cui abbiamo avuto l’opportunità di parlare con lui, sia del tema menzionato prima che della sua carriera, sia da pro gamer che da content creator.
TGM: Grazie Dario per il tempo concesso in questa occasione, iniziamo parlando del nocciolo di questa intervista: Davvero l’Esports italiano è morto?
Moonryde: L’Esports italiano non è morto ma vive una situazione di stasi nel confronto con le altre realtà, specialmente in Europa.
Mi spiego meglio, abbiamo tutte le potenzialità per poter emergere come mercato ma siamo fermi, impallati, a guardare gli altri avanzare e aumentare la loro portata.
Serve una scossa o, per meglio dire, un qualcosa che ci svegli da questa situazione di stasi e rimetterci in gareggiata.
T: Quale può essere questo elemento per cambiare questa situazione?
M: Leggi, un sistema legislativo per dia un quadro chiaro e preciso sulle varie posizioni collegate al mondo esportivo ed ad esso collegate.
Basta un primo quadro normativo per ricominciare a correre, anche per superare quella
ritrosia presente nel pubblico generalista riguardante questo mondo; ma devono essere le
istituzioni italiane a muovere i primi passi prendendo ad esempio dall’Europa come in
Francia dove l’esports è riconosciuto e supportato dalle istituzioni.
T: Parlando di te, invece, come è nato il percorso che ti ha portato a vestirti Fnatic.?
M: Il tutto inizia ad Agosto 2022, mi scrisse su instagram Victor, talent manager dei Fnatic
ed ero in live su Call of Duty, da quel momento entrai prima nel network e successivamente
entrai da li a poco nel main roster come pro player e content creator.
T: Hai menzionato Call of Duty, un FPS, eppure il tuo nick proviene da altro universo ossia World of Warcraft, come mai questo percorso da un polo all’altro?
M: Sono nato con WoW ma le nostre strade si sono separate molto tempo fa, ho provato anche League of Legends ma alla fine ho trovato il mio porto, rappresentato dai FPS e dai battle royale.
T: Call of Duty Warzone, Fortnite, Apex, PUBG, universo vario ma che, a livello competitivo, rende poco e nulla, come mai questa situazione?
M: In poche parole, i battle royale non sono titoli competitivi, certo esiste qualche eccezione ossia PUBG, ma il resto posso considerarli come titoli da streaming.
Ogni tanto, partecipo a qualche torneo online ma, ora come ora, il mio focus è orientato verso il content creator.
T: Content creator, una figura cosi demonizzata, come mai questa visione?
M: È il come viene visto in Italia che rende tale figura come un demone da esorcizzare, un
male da estirpare.
Se vai, ad esempio, in Spagna, personaggi come Ibai sono particolarmente apprezzati anche per le attività che svolge.
Dietro al lavoro di facciata, vi è un team che lavora alla realizzazione dei vari contenuti, in
tutti i suoi elementi.
Tanti credono che il content creator sia quello, per esempio, che gioca ai videogiochi o partecipa a sessioni di D&D e carica i suoi video sulle varie piattaforme, ma
non è così e, riallacciandomi al discorso del quadro normativo negli Esports, ce ne deve essere anche uno, in maniera ottimale, realizzato anche per queste figure.
T: Citando Ibai siamo arrivati all’ultimo quesito che ti poniamo, quando chiuderai la carriera da content, deciderai di creare un team tuo?
M: In realtà, prima del percorso da content, ero già al vertice di un team di PUBG, un
percorso che, anche per problematiche varie, ho abbandonato.
Se ti devo rispondere, vorrei essere all’interno di un team in una di quelle figure collegate al
lavoro che possano supportare la crescita dei giocatori ma allo stesso tempo essere una
figura di riferimento per quel team proprio come lo è Ibai per il suo o Nadeshot per i 100T e
anche in quel caso non mi vedrei smettere di fare il content creator.